Viviamo un'epoca in cui molti sperano ancora che tutto "questo" passi. Che si ristabiliscano gli equilibri del passato, che le cose tornino alla normalità. Un'ipotesi legittima, certo, ma sempre meno realistica.
C'è poi chi parla di una nuova normalità, immaginando scenari inediti, nuovi assetti, nuove routine. Ma spesso questa narrazione è permeata da un entusiasmo cieco per la tecnologia: una presenza totalizzante, orizzontale e verticale, in ogni ambito. Come se il futuro si potesse costruire semplicemente adottando più strumenti digitali.
Anche questa è un'ipotesi. Ma se la tecnologia viene vista come un fine e non come un mezzo, qualcosa si inceppa. Personalmente, questa visione mi preoccupa. La tecnologia dovrebbe essere un abilitatore al servizio della persona, non il motore esclusivo del cambiamento.
Esiste poi una terza possibilità, meno rassicurante ma forse più realistica: l'assenza di ogni forma di normalità. Uno scenario fluido, instabile, in continuo mutamento. La never normal era, appunto. Un contesto dove la capacità di adattarsi velocemente diventa centrale, e dove sono richieste competenze che per anni sono state svalutate, soprattutto nei luoghi di lavoro.
In questo contesto, le soft skills stanno diventando le nuove hard skills. Sì, proprio quelle competenze che venivano considerate "accessorie" o di contorno: empatia, immaginazione, spirito critico, passione, capacità di collaborazione e comunicazione. Tutto ciò che non si impara su un manuale, e che difficilmente può essere replicato da un algoritmo.
Oggi molte delle hard skills tradizionali possono essere eseguite da una macchina. E spesso meglio di noi. Ma l’immaginazione? La capacità di emozionare, di ideare, di sentire davvero? Queste restano prerogative umane. E saranno sempre più decisive.
Per questo dobbiamo tornare ad allenarle. Non nei master in business administration, ma nella vita quotidiana. Leggendo romanzi. Guardando video ispirazionali. Ascoltando podcast. Viaggiando. Confrontandoci. Raccontandoci storie. Coltivando la nostra parte più autentica e meno addomesticata.
Perché se è vero che stiamo entrando in una never normal era, dobbiamo prepararci a viverla con lucidità e creatività. Non possiamo semplicemente sperare che tutto torni come prima. Non possiamo nemmeno affidarci ciecamente alla tecnologia.
Dobbiamo ritrovare il coraggio di essere inventori, filosofi, poeti, visionari. Di uscire dal coro. Di fare cose belle, non solo corrette.
Saremo pronti? Forse no. Ma quale alternativa abbiamo? ;)
Contattaci se vuoi esplorare insieme nuove strategie, visioni e strumenti per navigare questo tempo complesso: marketingtoys.it/contatta-marketing-toys
C'è poi chi parla di una nuova normalità, immaginando scenari inediti, nuovi assetti, nuove routine. Ma spesso questa narrazione è permeata da un entusiasmo cieco per la tecnologia: una presenza totalizzante, orizzontale e verticale, in ogni ambito. Come se il futuro si potesse costruire semplicemente adottando più strumenti digitali.
Anche questa è un'ipotesi. Ma se la tecnologia viene vista come un fine e non come un mezzo, qualcosa si inceppa. Personalmente, questa visione mi preoccupa. La tecnologia dovrebbe essere un abilitatore al servizio della persona, non il motore esclusivo del cambiamento.
Esiste poi una terza possibilità, meno rassicurante ma forse più realistica: l'assenza di ogni forma di normalità. Uno scenario fluido, instabile, in continuo mutamento. La never normal era, appunto. Un contesto dove la capacità di adattarsi velocemente diventa centrale, e dove sono richieste competenze che per anni sono state svalutate, soprattutto nei luoghi di lavoro.
In questo contesto, le soft skills stanno diventando le nuove hard skills. Sì, proprio quelle competenze che venivano considerate "accessorie" o di contorno: empatia, immaginazione, spirito critico, passione, capacità di collaborazione e comunicazione. Tutto ciò che non si impara su un manuale, e che difficilmente può essere replicato da un algoritmo.
Oggi molte delle hard skills tradizionali possono essere eseguite da una macchina. E spesso meglio di noi. Ma l’immaginazione? La capacità di emozionare, di ideare, di sentire davvero? Queste restano prerogative umane. E saranno sempre più decisive.
Per questo dobbiamo tornare ad allenarle. Non nei master in business administration, ma nella vita quotidiana. Leggendo romanzi. Guardando video ispirazionali. Ascoltando podcast. Viaggiando. Confrontandoci. Raccontandoci storie. Coltivando la nostra parte più autentica e meno addomesticata.
Perché se è vero che stiamo entrando in una never normal era, dobbiamo prepararci a viverla con lucidità e creatività. Non possiamo semplicemente sperare che tutto torni come prima. Non possiamo nemmeno affidarci ciecamente alla tecnologia.
Dobbiamo ritrovare il coraggio di essere inventori, filosofi, poeti, visionari. Di uscire dal coro. Di fare cose belle, non solo corrette.
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