Il blog di Marketing Toys

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Sono molti i brand di calzature (e non solo) che approfittano dell'appellativo VEGAN per etichettare i propri prodotti: spesso linee in ecopelle già in catalogo vengono vendute con pack dedicato e la scritta VEGAN.

Etichettare un proprio prodotto senza aver fatto niente di innovativo a riguardo sia solo un modo per vendere di più e non per portare un reale valore al consumatore finale. Scelte rispettabili, poco - per me - condivisibili.

Ogni volta che vedo un prodotto che utilizza l'appellativo VEGAN clicco, indago, approfondisco.

Ci sarà qualcuno che ha a cuore, oltre che il proprio bilancio, anche il valore che arriva al consumatore finale? Non parlo solo di fare qualità, ma parlo di raccontare una verità al consumatore perché a questo possa essere utile.

Stamani è stato il turno delle Flamingos: scarpe curiose, dallo stile vintage, e come dicono loro VEGAN.

Se andate sul sito, leggete, scartabellate, capirete che quelle calzature sono prodotte dagli scarti di mais e bamboo.

Un progetto ed una produzione pensata realmente per essere sostenibile, forse quasi circolare.

Qualcuno avrebbe abusato - e lo farà sicuramente quando sarà un po' più di moda parlarne - anche di quel termine: economia circolare.


Se leggete nel loro sito il “purpose” del brand scoprirete tante cose: per loro l'essere “VEGAN” è un dogma, è un veicolo per il cambiamento, per la riduzione di CO2 ed acqua.
Essere è rispettare ogni forma vivente.

Dovremmo ora chiedere ai managers e marketers delle grandi corporate di fare le cose a modo: perché una semplice etichetta (che sia VEGAN od altro) è un veicolo di cambiamento e trasformazione. Oggi più che mai.

E no, non è una trovata di marketing. È un'altra cosa.
Filippo

P.S. Per i curiosi: sono onnivoro, ma curioso ed estremamente rispettoso dell'altro)