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Eredità digitale: cos'è e come viene disciplinata

Il 13 marzo 2016 sul sito della BBC è comparso questo messaggio: A breve su Facebook ci saranno più morti che vivi. Il social network per eccellenza ha già preso le sembianze di un cimitero digitale, in costante e inarrestabile crescita.”

E’ scattata subito la corsa alle cifre, alle statistiche, ai numeri. C’è chi ha provato a calcolare i profili on line che apparterrebbero a persone defunte (oltre trenta milioni secondo alcuni) ed altri che hanno pronosticato nel 2065 - o al massimo nel 2095 - il sorpasso degli account di utenti morti rispetto a quelli dei vivi.

Lasciando da parte gli eccessi non si può non riconoscere che il fenomeno della cosiddetta “morte digitale” e della conseguente “eredità digitale” stia assumendo una rilevanza sempre maggiore.

Ridurre la questione al solo problema della gestione di profili, account, video, immagini che sopravvivono ai loro referenti umani è sicuramente riduttivo. In realtà si tratta di un ambito che tocca importantissimi temi sociali, religiosi, filosofici e tecnologici e che pone problemi pratici, di sicurezza informatica e controversie legali già attuali.

I dati in rete collegati ad account e profili social sono in grado di creare un alter ego digitale che cresce e si sviluppa di pari passo con le attività umane. Sembra quindi esistere un’idea di eredità digitale relativa non tanto ai singoli dati, ma piuttosto a quanto una persona lascia di sé complessivamente nel mondo digitale e che viene arricchito e rifinito dalla stessa tecnologia attraverso la profilazione e correlazione delle informazioni.

Il concetto di morte digitale è evanescente; nel mondo digitale l’individuo non è rappresentato nella sua fisicità ma da quel corpo elettronico costituito da tutti i dati che ha immesso in rete durante la vita e che permarranno anche successivamente. I profili e gli account possono però continuare a vivere on line, a ricevere notifiche, messaggi e commenti anche dopo la morte fisica dell’utente. Si potrebbe quasi dire che è più difficile morire digitalmente che fisicamente.

La morte biologica di una persona comporta quindi una dissociazione dall’alter ego digitale che non solo sopravvive ma che può anche essere destinato all’immortalità.

Il concetto di identità digitale promana direttamente da quello di identità personale e non rappresenta quindi una novità dal punto di vista sostanziale. La novità è invece data dal mezzo attraverso il quale questa identità si manifesta e si sviluppa: la rete.

É proprio questo mezzo che permette di individuare due caratteristiche dell’identità digitale che la differenziano dall’identità personale: quella digitale nasce e si sviluppa su base volontaria (nessuno, almeno per ora, è obbligato ad averla) e non è unitaria. Tutti i dati immessi in rete, gli eventi, i ricordi, le prenotazioni di viaggi, ristoranti, le iscrizioni alle piattaforme social etc. costituiscono una mole di informazioni che consente di ricostruire un’identità digitale che in parte combacia con l’identità personale ma in parte se ne discosta o la deforma.

Siamo in un momento di grande fermento intellettuale e tecnologico che vede ormai inscindibilmente connesse due vite e due morti, quella fisica e quella digitale, ciascuna con una propria identità.

Ma la morte digitale ci porta a riflettere sulla sorte dei dati in rete ed in particolare sull’immortalità delle informazioni o invece sulla possibilità (o necessità) di un oblio nell’era dei social network difficile da ottenere.
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