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Social media e brand: a cosa servono davvero?

2023-12-07 22:28 BLOG MKTG TOYS FOCUS Retail
Una domanda che in tanti — professionisti, aziende, marketer — ci stiamo ponendo. Anche alla luce di alcune dichiarazioni recenti, come la scelta di Bottega Veneta di abbandonare i social network o le critiche sempre più puntuali di Seth Godin. Ma qual è, davvero, la verità?

Ha fatto molto discutere la decisione del brand Bottega Veneta di chiudere i propri canali social ufficiali. Eppure, analizzando meglio, emergono spunti strategici molto interessanti. A spiegare la motivazione è stato François-Henri Pinault, CEO del Gruppo Kering: “L'obiettivo è stato quello di permettere di interpretare i prodotti di Bottega Veneta senza veicolare parallelamente ulteriori messaggi attraverso un account ufficiale del brand."

E ancora: “Non si tratta di scomparire dai social network, ma semplicemente di usarli diversamente. Bottega Veneta ha deciso, in linea con il proprio posizionamento, di fare molto più affidamento sui propri ambassador e fan, fornendo loro i materiali necessari per parlare del brand, lasciando che siano loro a raccontarlo."

Una prospettiva controcorrente ma coerente: quella di decentralizzare la voce del brand, affidandola a una community di interpreti e sostenitori. Non una rinuncia, ma una trasformazione.

Anche Seth Godin, nel suo libro La Pratica, critica l’uso strumentale dei social: “Messe al bando le degenerazioni social, ciò che resta è l'esperienza autentica del cliente, un mosaico di aspettative racchiuse nei suoi bisogni spesso disattesi e nel suo vissuto da ascoltare."

Quello che emerge è un bisogno di autenticità. Di meno controllo, più fiducia. Di meno post, più esperienze. Di meno branded content e più co-creazione.

Nel frattempo, il mondo dei social si interroga. Tante aziende hanno investito risorse ingenti nella crescita dei profili, spesso inseguendo metriche vuote come i like o l’engagement virale. Quello che si è ottenuto? In molti casi, una community che difficilmente si riconosce nel brand, che interagisce per ironia o abitudine, ma non per affinità valoriale.

Un esempio su tutti? La Fan Page di Taffo. Divertente, virale, memorabile. Ma quanto di tutto questo si traduce in un’esperienza autentica e coerente con il posizionamento aziendale?

Forse i social vanno ripensati. Non solo come strumenti di vendita — perché spesso non lo sono — ma come ambienti di ascolto, sperimentazione, dialogo. Come luoghi in cui il brand può esprimersi in modi meno prevedibili, più liberi, forse anche più fedeli a sé stesso.

Il punto centrale, allora, è questo: i social non sono il fine, sono un mezzo. L’obiettivo non è essere presenti sui social, ma sapere perché esserci.

E qui torna in gioco la strategia. Il posizionamento. La visione. Tutte quelle cose che sembrano essersi smarrite nella rincorsa all’algoritmo perfetto.

In questo senso, la scelta di Bottega Veneta può essere letta come un ritorno all’essenza: un brand che decide di non parlare, ma di farsi raccontare. Che sceglie la libertà di espressione dei propri fan come veicolo di posizionamento. Che si fida della propria community, al punto da rinunciare alla gestione diretta del racconto.

Una scelta rischiosa? Forse. Ma profondamente strategica.

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