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L'economia della felicità: ripensare consumo, lavoro e benessere

2024-10-02 21:32 BLOG MKTG TOYS FOCUS
Vi siete mai chiesti davvero cosa vi piace fare?

La mattina, quando vi alzate ancora assonnati e affrontate una nuova giornata di lavoro. La sera, quando vi coricate con la sensazione che il tempo vi sia scivolato addosso senza lasciare tracce. Giorno dopo giorno, per tutta la vita. Fino a quando, ormai anziani, riguarderete indietro e vi chiederete dove sia andato tutto quel tempo.

Sono domande scomode. Farsi certe domande richiede coraggio: il coraggio di mettersi in discussione, di accettare risposte che possono destabilizzare, di ascoltare quell'irrequietezza che nasce quando ci rendiamo conto che qualcosa non torna.

Eppure è proprio da queste domande che può iniziare un cambiamento. Ma chi ha più tempo per farsi domande? Nell'epoca dell'iperconnessione e della produttività a ogni costo, anche solo concedersi il lusso del silenzio sembra un privilegio raro.

Lavoriamo. Produciamo. Consumiamo. Alimentiamo un sistema che si autoalimenta. Spesso senza fermarci a chiederci perché. Lavoriamo per aziende che vendono prodotti che altre persone compreranno. Perché forse ne hanno bisogno. O forse perché sono stati bravi a raccontare la loro storia. O, più probabilmente, perché sono stati bravi a gridarla più forte di altri.

Chi ha più soldi grida più forte. E vince. Nike grida più forte della piccola azienda artigiana di Forlì che produce scarpe in pelle, a mano, con energie rinnovabili e basso impatto ambientale. Ma noi, noi tifiamo per chi non grida. Per chi non vuole vincere a tutti i costi. Per chi sceglie di perdere qualcosa per non perdere se stesso.

Esiste un'altra economia. Un'economia della felicità. Un'economia fatta di persone, aziende, comunità che scelgono consapevolmente di mettere al centro il benessere, l'etica, la qualità delle relazioni.

Un'economia che non si misura solo con il PIL, ma con l'impatto positivo che riesce a generare: sulle persone che lavorano, sui territori che abita, sulle comunità che coinvolge.

Un'economia che crea cose belle perché è meglio fare cose belle che fare cose brutte. Che non umilia i lavoratori, non devasta l'ambiente, non insegue il profitto a ogni costo.

In questa nuova prospettiva, il consumo diventa atto consapevole. Il valore non è più solo il prezzo, ma il significato. Ciò che un prodotto rappresenta. Il modo in cui è stato realizzato. La storia che porta con sé.

È un'economia che accoglie la complessità, che ammette che A non porta sempre a B. E che forse, un giorno, quell'individuo razionale tanto caro ai manuali di economia tradizionale si metterà a piangere perché non ci capisce più niente.

Forse quel giorno donerà a un crowdfunding. O mollerà tutto per attraversare il Sud America in bicicletta. Perché sentiva che c'era qualcosa di più.

I vecchi modelli stanno crollando. Le fondamenta scricchiolano. I sistemi traballano. Non possiamo più permetterci di ignorarlo. Serve un ripensamento profondo, dei nostri stili di vita, di consumo, di lavoro. Sarà un percorso difficile, a tratti doloroso, ma necessario.

E se dobbiamo ripartire, ripartiamo da ciò che ci fa stare bene. Dal motivo per cui ci alziamo al mattino con un sorriso. Da quel gesto, anche minuscolo, che può migliorare la vita di qualcun altro. In fondo, che la felicità diventi una moda. La moda di rendere il mondo un posto più felice, per tutti.

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