Sono pigro, si sa. Lo sono dai tempi dell’università, quando studiavo Algebra Lineare. Mi sono laureato in Scienze Statistiche, non con il massimo dei voti e l’esame di Algebra Lineare fu il primo esame del mio corso di laurea: l’ho ripetuto 4 volte, poi una sera — me la ricordo come fosse ieri anche se sono passati esattamente 20 anni — sobbalzai dalla sedia.
Erano giorni, settimane e mesi che stavo cercando di capire cosa significasse maneggiare uno spazio n-dimensionale, con n dimensioni. Quindi non 3 dimensioni canoniche come siamo abituati a fare, nella vita di tutti giorni.
Faticavo a capire cosa e come si potesse maneggiare qualcosa del genere, e questo qualcosa in particolare era una matrice di dati. Una matrice è una cosa brutta, complessa, incasinata. Come le nostre vite per intendersi.
Spostare l’attenzione, cambiare punto di vista, focalizzare il problema. Proprio come quel disegno (disastro n.1) e quello che stavo studiando, la trasposta di una matrice permetteva di portare la matrice iniziale in uno spazio più semplice nel quale fare le operazioni necessarie, quelle più importanti, per risolvere il problema.
Erano giorni, settimane e mesi che stavo cercando di capire cosa significasse maneggiare uno spazio n-dimensionale, con n dimensioni. Quindi non 3 dimensioni canoniche come siamo abituati a fare, nella vita di tutti giorni.
Faticavo a capire cosa e come si potesse maneggiare qualcosa del genere, e questo qualcosa in particolare era una matrice di dati. Una matrice è una cosa brutta, complessa, incasinata. Come le nostre vite per intendersi.
Spostare l’attenzione, cambiare punto di vista, focalizzare il problema. Proprio come quel disegno (disastro n.1) e quello che stavo studiando, la trasposta di una matrice permetteva di portare la matrice iniziale in uno spazio più semplice nel quale fare le operazioni necessarie, quelle più importanti, per risolvere il problema.
Questo tipo ti operazione, una volta svolto il lavoro, prevedeva di riportare il risultato nello spazio iniziale ed utilizzarlo per vari scopi. L’obiettivo era quindi riportare il risultato ottenuto nel caos dal quale lo avevamo liberato per affrontarlo.
L’Algebra Lineare mi ha aiutato molto nel lavoro (e nella vita) perché mi ha permesso — come tutto il mio percorso universitario — di coltivare un pensiero molto astratto. A volte mi trovo nei disastri e sembro impassibile di quello che mi sta accadendo intorno semplicemente perché in lontananza ho intravisto un faro da seguire. Io mi concentro sul faro, sulla salvezza.
Questo non significa non incassare colpi, non sbagliare strada, non curarsi del presente. Anzi, significa risolvere velocemente il presente perché là, là in fondo, in lontananza c’è già il futuro che ci aspetta.
Alcune cose sono importanti, altre meno. La capacità di discernere fa la differenza. Non possiamo affrontare la vita, tutta insieme: non ne abbiamo il tempo, non ne abbiamo le forze, non ne abbiamo le capacità.
Si tratta di mettere in fila velocemente le cose da fare, focalizzare l’attenzione, attraversare l’inferno uscendone non indenni, ma almeno non distratti, che è diverso.
A me c’è un’unica cosa che dà sollievo in questa quotidianità: la morte. Sapere che un giorno dovrò morire mi solleva da tante cose. Mi solleva dal pensare che non si possano risolvere le cose, perché in realtà c’è sempre almeno un modo, se non due — a volte tre — di risolverle.
Pensare che un giorno non ci sarò, non ci saremo, più è confortante: rispetto alla morte — o all’infinità — non c’è problema o imprevisto che possa reggere il paragone.
E poi si, la vita, non va assaporata, come fanno gli intenditori di vino quando lo sorseggiano. La vita va trangugiata, va bevuta fino a svenirne. Bisogna ubriacarsi di vita.
Perché non ci sarà mai una seconda opportunità. Non ci sarà mai una seconda chance. La vita non è quella bottiglia di vino da tenere in serbo per un’occasione speciale. La vita, è l’occasione speciale.
Povero me, come sempre mi distraggo. Mi lascio distrarre dalla vita, dalla morte e da tutte quelle cose che ci stanno nel mezzo. Bevetevi tutta questa cazzo di vita e fatevi presto riempire di nuovo la bottiglia.
Filippo, uno che prima era astemio. Ora non più.
Questo non significa non incassare colpi, non sbagliare strada, non curarsi del presente. Anzi, significa risolvere velocemente il presente perché là, là in fondo, in lontananza c’è già il futuro che ci aspetta.
Alcune cose sono importanti, altre meno. La capacità di discernere fa la differenza. Non possiamo affrontare la vita, tutta insieme: non ne abbiamo il tempo, non ne abbiamo le forze, non ne abbiamo le capacità.
Si tratta di mettere in fila velocemente le cose da fare, focalizzare l’attenzione, attraversare l’inferno uscendone non indenni, ma almeno non distratti, che è diverso.
A me c’è un’unica cosa che dà sollievo in questa quotidianità: la morte. Sapere che un giorno dovrò morire mi solleva da tante cose. Mi solleva dal pensare che non si possano risolvere le cose, perché in realtà c’è sempre almeno un modo, se non due — a volte tre — di risolverle.
Pensare che un giorno non ci sarò, non ci saremo, più è confortante: rispetto alla morte — o all’infinità — non c’è problema o imprevisto che possa reggere il paragone.
E poi si, la vita, non va assaporata, come fanno gli intenditori di vino quando lo sorseggiano. La vita va trangugiata, va bevuta fino a svenirne. Bisogna ubriacarsi di vita.
Perché non ci sarà mai una seconda opportunità. Non ci sarà mai una seconda chance. La vita non è quella bottiglia di vino da tenere in serbo per un’occasione speciale. La vita, è l’occasione speciale.
Povero me, come sempre mi distraggo. Mi lascio distrarre dalla vita, dalla morte e da tutte quelle cose che ci stanno nel mezzo. Bevetevi tutta questa cazzo di vita e fatevi presto riempire di nuovo la bottiglia.
Filippo, uno che prima era astemio. Ora non più.